I nodi della rete. Da Seattle ai social network

Che fine hanno fatto i media dei movimenti che hanno animato il secolo scorso? Come si sono trasformati? Rilancio l’interessante articolo di Marco Trotta uscito per l’almanacco di Carta.

La copertina dell'almanacco di Carta
La copertina dell'almanacco di Carta

di Marco Trotta

Il messaggio definitivo arriva solo alle 23.11 del 4 Dicembre. Tutto in maiuscolo: “Vittoria”. Lo scrivono Giorgio Dal Fiume e Maurizio Meloni direttamente da Seattle. Poco dopo gli fa eco Carlo che quasi non ci credo: “Davvero abbiamo vinto?”. Claudio da Torino è più trionfate: “Ma perché non facciamo una rete nazionale?”. Alle 11.15 Francesco Martone gira un’ansa che annuncia che alcuni ecologisti hanno cinto la borsa di Milano con uno striscione nero a lutto. A leggere ora sembra passato un secolo eppure le cronache della cosiddetta “Battaglia di Seattle” di dieci anni fa sono ancora tutte lì, negli archivi delle prime mailing list di movimento che nella rete trovava una metafora della propria composizione (internet, rete di reti, quello il movimento dei movimenti) ma soprattutto uno strumento di comunicazione formidabile per tessere relazioni tra attivisti provenienti da continenti diversi, con percorsi politici, sociali e culturali apparentemente inconciliabili.

Eppure accadde che attivisti del WWF vestiti da tartarughe si trovano fianco a fianco con i Sem Terra brasiliani, sindacalisti statunitensi con anarchici europei, insieme ad altri 50.000 che sorpreso il mondo dei media e la politica. Un movimento che non poteva più essere taciuto e che era cresciuto proprio grazie alla rete. In che modo lo spiegò un anno dopo un articolo intitolato “Da Seattle ad Internet contro la globalizzazione” , (tuttora reperibile su apogeonline.com) che elenca una serie di siti utili per capire chi partecipò a quelle mobilitazioni e dimostra come quel movimento, quel modo di fare rete, la propria attitudine antiautoritaria, ribelle e creativa abbia inaugurato alcune tendenze che sono visibili ancora oggi dopo dieci anni. Intanto l’uso della rete come media di collegamento e di comunicazione autonomo per parlare tra di sé e far parlare di sé.

La mobilitazione verso Seattle comincia qualche anno prima quando Ralph Nader, terzo candidato incomodo nelle elezioni degli anni ’90 tra repubblicani e democratici, pubblica sul suo sito “Public Citizen” (www.publiccitizen.org) un documento ai più sconosciuto chiamato “Multilateral Agreement on Investments” che però era discusso in segreto tra le stanze di organismi come Ocse e Wto. Un testo devastate, che se approvato così com’era avrebbe mercificato servizi e beni in ogni paese. All’epoca non esistevano quelli che oggi chiamiamo blog e forum sul web, e non c’era neanche un sito come Wikileaks.org che oggi è specializzato nella pubblicazione di simili “soffiate”, ma poter accedere a questo testo permise a reti e movimenti di ragionare su come fermarlo.

Ed ancora, sempre a Seattle nacque Indymedia (www.indymedia.org) che poi aprì una sezione italiana l’anno successivo al Noocse di Bologna. Un esperimento che aveva due intuizioni geniali. La prima era che grazie ai primi collegamenti veloci di internet e alle prima telecamere digitali era possibile coprire quasi in tempo reale e con una spesa modesta le manifestazioni da un punto di vista del manifestanti. Quello che era ignorato dai media di massa e che a Seattle dopo aver bucato la notizia furono costretti a inseguire il lavoro di un centinaio di media attivisti. La storia ricchissima di approfondimenti è raccontata in diversi articoli nel decennale su Reclaimthmedia.org e si può ritrovare anche in “Media Activism” a cura di Matteo Pasquinelli (ed. Deriveapprodi – 2002) tuttora disponibile da scaricare gratuitamente su www.rekombinant.org/old.

L’altra intuizione fu l’open publishing ovvero il fatto che i siti web che fino ad all’ora era soprattutto vetrine statiche fatta di pagine immodificabili potesse essere “plasmato” anche dagli utenti grazie alle prime tecnologie che permettevano di aprire spazi dove lasciare commenti, mandare testi, caricare file. All’epoca queste innovazioni ed i collegamenti veloci necessari (tutt’altro che a buon mercato) furono pagati con collette e donazione, eppure è evidente che anticiparono fenomeni che poi avebbero offerto questi servizi per ben altri motivi come Youtube o Facebook, ecc. dei quali ora si parla (spesso anche troppo) a proposito di No-Bday e dintorni.

In Italia ques’onda arrivo l’anno successivo con almeno 4 mobilitazioni. Il 20 Maggio ad Ancona viene organizzato una “Conferenza europea per lo sviluppo e la sicurezza dell’Adriatico e dello Jonio” contestata per la presenza di rappresentanze del FMI, della Banca Mondiale, della Banca Europa e della NATO (www.maggio2000.org). Negli stessi giorni viene contestata una fiera delle biotecnologie a Genova dal coordinamento Mobilitebio (www.tebio.orgwww.rfb.it/tebio). Il 24 Maggio tocca ad un vertice Nato a Firenze (www.ecn.org/natoafirenze/) e a Giugno è l’Ocse ad essere contestata a Bologna dal coordinamento Contropiani (www.contropiani2000.orgwww.bologna.social-forum.org).

Non solo, poco prima di Seattle l’Italia ospita la Carovana Intercontinentale con 500 contadini indiani dello stato del Karnataka che verranno in Europa per raccontare come il business di multinazionali come Monsanto li stia letteralmente riducendo sul lastrico (www.rfb.it/icc99/). Anche qui l’utilizzo della rete diventa essenziale. Nel nostro paese solo l’anno primo erano cominciate a scendere le tariffe di connessione grazie ai primi fornitori di connettività gratuiti (prima si pagava il servizio oltre che gli scatti del telefono). Siti come Peacelink.it o ECN.org forniscono in qualche caso spazio web e sistemi per gestire liste di discussione, in altri casi verranno aperte attraverso i primi gestori “gratuiti” come Yahoo (su yahoogroups.com, per esempio si possono accedere agli archivi di: noomc-it, nobiotech-it, forisociali e molte altre, tutt’ora funzionati).

Dieci anni dopo molti di questi siti rimangono in rete come veri e propri musei pubblici, altri non sono più accessibili perché dismessi o perché il dominio non è stato più rinnovato. Per fortuna c’è un comodo modo per vedere come erano all’epoca e per recuperare qualche pagina. Basta andare su ww.archive.org, digitare l’indirizzo non più accessibile e verranno visualizzate una lista di pagine prese durante la vita di quei siti come se si tornasse indietro con la macchina del tempo. Il che è un modo per recuperare la memoria ma anche per porre un problema del tutto attuale: ovvero nel tempo della rivoluzione digitale che tutto rende disponibile o può far sparire con un click, chi racconterà e come la storia dei movimenti non solo di questi ultimi dieci anni ma dei prossimi dieci?

Un problema che qualche anno fa si è posto anche la Fondazione Feltrinelli e che negli anni successivi a Seattle è diventanto sempre più evidente visto che ogni due secondi nasce un blog o vengono caricati migliaia di video su Youtube, spesso a sostegno di cause e movimenti sociali, dei quali magari non rimane traccia poco dopo per censure o non curanza. La stessa British Library ha sollevato la questione, più recente, rilevando per esempio che se uno storico oggi volesse raccontare l’era Bush per esempio attraverso i documenti del sito della casa Bianca durante il suo mandato, troverebbe ben poco visto che il giorno dopo l’elezione di Obama fu completamente rinnovato. E in effetti oggi se si volesse andare sul sito del Genova Social Forum (www.genoa-g8.org) avrebbe lo stesso problema.

[Questo articolo è uscito sull’almanacco di Carta dedicato al decennale della “Battaglia di Seattle” consultabile qui.]

2 thoughts on “I nodi della rete. Da Seattle ai social network”

Lascia un commento