Per la prima volta il Pulitzer a un sito. In nome del “pubblico interesse”

ProPublica.org ha scommesso sul giornalismo investigativo e ha vinto il prestigioso premio Pulitzer. Complimenti davvero. Per un sito che ha saputo rifondare il giornalismo d’inchiesta – il suo slogan è Journalism in the Public Interest – grazie alla scommessa del suo fondatore Paul Steiger, ex WSJ.

Ecco come racconta l’esperienza di ProPublica Federico Mello del Fatto.

Nel giugno 2008, lanciando Propublica.org , Paul Steiger aveva promesso: “Siamo all’inizio di un esperimento e abbiamo cominciato a indagare. I frutti si vedranno nei mesi a venire”. E’ stato di parola Steiger, già direttore del prestigioso Wall Street Journal: il suo sito d’inchiesta ha vinto lunedì il premio Pulitzer, il massimo riconoscimento per una testata giornalistica. Già dal 2009 la giuria del premio aveva ammesso gli articoli pubblicati sul Web, ma è arrivata quest’anno “la prima volta” di un sito Internet.

A incassare i diecimila dollari del premio, Sheri Fink per la sua inchiesta sugli ospedali di New Orleans dopo il passaggio dell’uragano Katrina. Come tradizione del sito, l’inchiesta era prima uscita online, e poi ripubblicata sul magazine del New York Times. Il premio Pulitzer, nato nel 1917, viene assegnato ogni anno dalla scuola di giornalismo della Columbia University: nell’albo d’oro del premio svettano Carl Bernstein e Bob Woodward che dalle colonne del Washington Post rivelarono al mondo lo scandalo Watergate.

Quest’anno a fare man-bassa di riconoscimenti le più importanti testate americane: il Washington Post ha vinto quattro premi, tra i quali uno per i servizi sulla guerra in Iraq; il New York Times tre, uno per un’inchiesta sulla carne contaminata e l’altro sui pericoli causati dall’uso dei cellulari mentre si guida. Per il direttore di Propublica.org Paul Steiger, l’emozione del Pulizer non è nuova: al timone del WSJ aveva già raccolto ben 16 premi. Ma il diciassettesimo ha il dolce sapore di una scommessa vinta.

Il sito era stato annunciato nell’ottobre 2007, mentre Steiger chiudeva la sua esperienza (durata 16 anni) come direttore del Wall Street Journal. Le Borse sarebbero crollate di lì a poco, ma già era in atto la crisi della carta stampata incalzata da Internet e nuovi media. Mentre il tycoon dei media Rupert Murdoch tentava di far pagare gli articoli delle sue testate, Propublica puntava sul più costoso dei giornalismi: quello investigativo e d’inchiesta.

“Propublica si concentrerà esclusivamente sul giornalismo che getta luce sullo sfruttamento del debole da parte del più forte e sul fiasco di quanti tradiscono la fiducia riposta in loro” l’impegno del fondatore. Il sito, gratuito, è rimasto “non-parti-san” e non ideologico e ha continuato in questi due anni di attività a fare le pulci anche a sindacati, ospedali, università, fondazioni e alla stessa industria dei media. “Il giornalismo investigativo è a rischio perché in molte testate viene ormai considerato un lusso” altra denuncia di Steiger: secondo una statistica della Arizona State University nel 2005 (prima della crisi economica) il 37 per cento dei giornali americani non aveva un reporter investigativo a tempo pieno nello staff, la maggioranza ne aveva uno o due e solo il 10 per cento poteva contare quattro o più.

Le praterie del Web garantiscono libertà, come dimostrato anche dal sito wikileaks, che recentemente ha pubblicato il video top-secret di una strage di civili in Iraq da parte dell’esercito americano. Ma un progetto editoriale solido deve guardare anche al bilancio. Propublica è stato possibile grazie alla filantropia democratica: il sito siede su 10 milioni di dollari garantiti ogni anno dai californiani democratici Herbert e Marion Sandler. Con questo budget, e altre donazioni che continuano ad arrivare, non ha fatto fatica a offrire stipendi competitivi con la carta stampata ai suoi giornalisti. I risultati si sono visti, e in fretta.

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