La Tav, Firenze e quell’assurdo progetto ora sul binario morto

beni-comuniDopo quindici anni il sindaco di Firenze ha detto stop all’assurdo progetto di sottoattraversamento Tav della città. Questo articolo, uscito sulla rivista Il Ponte dedicata ai Beni Comuni nel febbraio 2013, mette in fila tutti i limiti (e i guai) dell’inutile e dannosa Grande opera. Dopo la presentazione del numero della rivista fondata da Piero Calamandrei, il pezzo dedicato al tunnel. Qui la versione pdf stampabile

“Bene comune” rischia di diventare il vacuo copricapo di una tecnocrazia sedicente di sinistra, che trasforma il reale cambiamento oggi richiesto in amministrazione moralistica dell’esistente, lasciando immutate le effettive gerarchie di potere.
Per definire i termini di una democrazia insorgente fondata sul concetto di bene comune, nel presente numero si tende un arco tra una riflessione piú strettamente politica su di esso (il documento di DemocraziaKmZero, il saggio di P. Cacciari) e la sua definizione giuridica e possibile traduzione in diritto positivo, con cui concludiamo il nostro lavoro (i saggi di U. Mattei e P. Maddalena). Gli interventi di G. Sullo e A. Zanchetta collocano la riflessione su democrazia e beni comuni in un contesto internazionale, con riferimento particolare allo zapatismo e alla Via Campesina in America Latina. L. Caminiti, G. Ferraro si occupano dell’aspetto costituzionale e storico dell’argomento, mentre un particolare rilievo è dedicato a un fenomeno che sta diventando sorprendente e rilevante: l’occupazione dei teatri come forma di rivendicazione di un bene comune culturale (L. Baiada). Alcuni saggi si occupano di pratiche di resistenza territoriale, emblematiche e significative, in nome di una qualità della vita minacciata (F. Forno, C. Lucchi), mentre Nebbia e Poggio tratteggiano il quadro preoccupante dell’emergenza ambientale.


La Tav, Firenze e quell’assurdo progetto ora sul binario morto

di Cristiano Lucchi

Quella del doppio tunnel di attraversamento dell’Alta velocità ferroviaria sotto la città di Firenze è la storia di una grande opera figlia di una cattiva progettazione, di lobbies imprenditoriali pressanti, di una pessima gestione politica, di uno spreco di denaro attinto dal bilancio dello Stato e quindi di debito pubblico. E’ anche una storia di malaffare e di camorra costellata secondo la magistratura, nel momento in cui scriviamo, di reati come l’associazione a delinquere, la corruzione, l’abuso d’ufficio, il falso, la truffa, la frode in pubbliche forniture, il traffico illecito di rifiuti. E’ però allo stesso tempo una storia di partecipazione dal basso alla cosa pubblica, di progettazione alternativa, di forte critica ad un modello di sviluppo fallimentare dal punto di vista economico, sociale ed ambientale, di resistenza alle mafie e al cattivo governo del territorio. Una storia complessa quindi, ma oggi molto comune in Italia, un paese dove da sempre gli onesti sono costretti a convivere e a subire coloro che approfittano di uno Stato debole e spesso colluso, incapace di amministrare e controllare un appalto pubblico anche in quella Toscana che qualcuno un tempo definì felix.

L’attualità permette di raccontare questa vicenda a partire dalla mattina di giovedì 17 gennaio 2013 quando il Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri (Ros) — l’organo investigativo dell’Arma con competenza sulla criminalità organizzata — sequestra il cantiere del sottoattraversamento, la trivella Monna Lisa (demagogicamente dipinta di viola in onore della locale squadra di calcio e con sopra gli stemmi di Comune, Provincia e Regione), esegue perquisizioni in tutta Italia e indaga 36 persone per i reati su citati. Al centro dell’inchiesta della magistratura Nodavia, la società “general contractor” dell’appalto e Italferr, la società di progettazione di Ferrovie dello Stato che avrebbe dovuto vigilare sui cantieri. Indagata la presidente di quest’ultima Maria Rita Lorenzetti, governatrice dell’Umbria in quota Partito Democratico dal 2000 al 2010, che per la procura metteva a “a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette” le proprie conoscenze personali e la propria rete di contatti politici. Indagati con lei anche funzionari di Rfi, consulenti, subappaltatori, fra i quali i vertici di Seli, la società incaricata di scavare il doppio tunnel con la fresa e di fornire i materiali di rivestimento delle gallerie, e i titolari delle imprese di trasporto e smaltimento rifiuti. Inquisiti dalla magistratura anche alcuni funzionari pubblici tra cui altri nomi chiave del sistema Pd: Walter Bellomo, della commissione Valutazione di impatto ambientale (Via) del Ministero dell’Ambiente, ex coordinatore della segreteria provinciale Pd di Palermo e prima responsabile regionale ambiente dei Democratici di Sinistra; Piero Calandra, membro della Autorità di vigilanza sui contratti pubblici in quota Pd; Maurizio Brioni, dirigente di Coopsette, società già nota ai tempi di Mani Pulite, e marito dell’ex sottosegretario Pd Elena Montecchi.

Secondo le accuse il trattamento dei fanghi di lavorazione è sempre stato abusivo, la parte liquida veniva smaltita in falda, e i costi venivano gonfiati a dismisura: Nodavia si faceva pagare da Rfi 100 euro a tonnellata lo smaltimento, e si accordava con gli smaltitori subappaltanti per far figurare sui contratti un prezzo superiore a quello effettivo: la differenza finiva in nero a Nodavia. Quasi tutti i trasporti erano eseguiti dalla Veca Sud di Maddaloni, ritenuta in rapporti con i casalesi. Inoltre il materiale per rivestire le gallerie non era conforme alle prescrizioni europee, messe a punto dopo il tragico incendio del ’99 nel tunnel del Monte Bianco che uccise 39 persone. La procura ha contestato ai dirigenti indagati di Rfi e Italferr di non aver operato “nell’esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico” e invece di aver voluto “in tutti i modi” assecondare le pretese economiche di Nodavia, cercando e ottenendo appoggi presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, il Ministero dell’Ambiente e quello delle Infrastrutture, in cambio di assunzioni, consulenze e favori, e facendo in tal modo lievitare i costi dell’appalto. Secondo le accuse la presidente di Italferr Lorenzetti ha così ottenuto incarichi professionali per il marito architetto nella ricostruzione post terremoto in Emilia [1].

Fino al 17 gennaio, fino all’intervento della magistratura che ha bloccato tutti i lavori, il progetto di realizzazione del nodo fiorentino della Tav fortemente voluto da Ferrovie dello Stato, Enti locali, sindacati e mondo delle imprese, in particolare della cooperazione rossa, era stato comunque sottoposto a critiche importanti da parte di esperti, ingegneri ferroviari, urbanisti, geologi, Università, organizzazioni della società civile, cittadini auto-organizzati, dal Comitato No Tunnel Tav, da perUnaltracittà, l’unica lista di cittadinanza presente in consiglio comunale, oltre che da frammenti di forze politiche che negli anni — a seconda della convenienza derivata dalla loro collocazione in Comune, Provincia e Regione, in maggioranza con il Pd o meno —, hanno talvolta espresso posizioni contrarie all’operazione.

Arriviamo al merito perché è utile sapere che dalla realizzazione dell’attuale progetto non dipende la connessione tra il capoluogo toscano e le altre importanti città italiane. A Firenze i treni ad Alta velocità transitano, si fermano, trasportano passeggeri dal lontano 30 maggio 1986, quando fu inaugurato il tratto della prima direttissima europea, la Firenze-Roma [2]. Da anni il capoluogo toscano è infatti uno degli snodi vitali del sistema nazionale ad Alta velocità che vede transitare ogni giorno un centinaio di treni, tra Frecciarossa e Italo, capaci di raggiungere i 300 chilometri orari e permettere così ai viaggiatori di raggiungere, tra le altre, Roma e Milano in circa un’ora e mezza.

Il nodo fiorentino Av di cui discutiamo è nelle intenzioni della committenza un progetto che dovrebbe migliorare la tempistica attuale di attraversamento della città, il cui limite maggiore è rappresentato dalla stazione di testa di Firenze Santa Maria Novella. I treni che vi giungono devono infatti fare retromarcia per riprendere il loro viaggio, perdendo così qualche minuto prezioso. Nonostante questa condizione la stazione – capolavoro del razionalismo, fu progettata infatti negli anni Trenta dal Gruppo Toscano di Giovanni Michelucci, ora è destinata a divenire l’ennesimo centro commerciale – accoglie oltre 400 treni al giorno ed è la quarta stazione italiana per flusso di passeggeri: 59 milioni l’anno. Ha infine il vantaggio di trovarsi nel pieno centro della città, fulcro del sistema di trasporto pubblico fiorentino e toscano [3].

Il progetto di sottoattraversamento prevede una galleria a doppia canna che scende e sale in superficie in corrispondenza delle stazioni di Campo di Marte a sud e di Castello a nord [4] . “In Italia – diceva Ennio Flaiano – la linea più breve tra due punti è l’arabesco”; il tunnel così come è stato progettato vanifica infatti l’obiettivo principale per il quale è stato pensato: non consente di recuperare quei minuti persi dai treni per la retromarcia da S.M.N.. Il nastro sotterraneo lungo sette chilometri, tutti sotto il tessuto urbano della città, ha infatti una strana forma ad esse: i treni provenienti da Roma entrano sotto terra a Campo di Marte, dove è stata sequestrata la fresa Monna Lisa, compiono in discesa una stretta curva a sinistra e dopo un breve rettilineo in cui non è possibile riacquistare velocità sono costretti ad un’ulteriore curva di corto raggio, questa volta a destra, che li porta alla nuova stazione, per poi con calma continuare il viaggio, questa volta in salita, verso nord. E viceversa. Con quale logica quando la linea più breve tra due punti è quella retta?

Si consideri inoltre che la nuova stazione – progettata nell’area degli ex-macelli dall’archistar inglese Norman Foster – è posta solo a poche centinaia di metri da quella di Santa Maria Novella. In un parere del 1998 è addirittura lo stesso Ministero dell’Ambiente a stroncare il progetto “per quanto concerne il bilancio fra risorse e tempi necessari alla realizzazione e per l’esiguità degli effetti attesi in termini di capacità ed efficienza dell’intero sistema ferroviario” [5]. Il dispendioso mega-progetto è quindi inutile dal punto di vista trasportistico, almeno per chi ha fretta di spostarsi o voglia di ragionare senza preconcetti. L’utilità per altri soggetti l’abbiamo vista all’inizio di questo pezzo e sarà approfondita poi.

Basterebbero queste considerazioni a restituire un’immagine di incongruenza con la realtà per questa grande opera. Eppure sono davvero tante altre le valutazioni che la rendono non solo inutile ma anche dannosa. A partire proprio dai costi e dalla tempistica di realizzazione, come affermava proprio il Governo. Partiamo dai costi. Con 100 milioni di euro in Giappone si costruiscono 10,750 chilometri di Alta velocità, in Spagna 10,200 km e in Francia 9,800. Gli stessi 100 milioni in Italia sono appena sufficienti per realizzare 2,110 km tra Roma e Napoli, 1,260 tra Novara e Milano e appena 1,040 tra Firenze e Bologna tratta sulla quale, per risparmiare 22 minuti, si sono spesi quasi 70 milioni di euro a chilometro (+400% del preventivato) danneggiando in modo irreversibile l’ecosistema appenninico. I sistemi idrogeologici e idrografici del Mugello, alle porte di Firenze, hanno subito solo pochi anni fa profonde trasformazioni a causa proprio dei cantieri dell’Alta velocità: essiccamenti, dissesti, crolli ma anche abbassamenti improvvisi del terreno in vaste zone lontane anche centinaia di metri dalla linea ferroviaria. 57 chilometri di fiumi completamente inariditi, altri 24 con diminuzione sensibile della portata, la scomparsa di 67 sorgenti, 37 pozzi e 5 acquedotti privati. Una spesa folle per un altrettanto folle scempio ambientale.

L’appalto del sottoattraversamento fiorentino ha un valore di 915 milioni di euro ed è stato vinto da Nodavia, un consorzio di cooperative che un tempo avremmo definito rosse con capofila la Coopsette di Reggio Emilia, società conosciuta ai più a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, quelli della tangentopoli milanese. I costi come abbiamo visto sono però già lievitati e se il progetto andrà avanti lieviteranno ancora. Mauro Moretti – amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e, grazie a questo incarico, controllante anche Rete Ferroviaria Italiana nonostante l’Europa ci chieda di tenere separati i destini di chi gestisce le reti infrastrutturali da quelli di chi si occupa del trasporto, oggi rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario colposo in relazione alla strage di Viareggio del 2009 – ha dichiarato che i costi del nodo fiorentino sarebbero già arrivati a circa a 1,7 miliardi di euro. Nell’estate del 2012 Ornella De Zordo, consigliera comunale di perUnaltracittà e fautrice del progetto alternativo di superficie che approfondiremo in seguito, ha reso pubblica una lettera riservata in cui il general contractor della grande opera, Nodavia, annuncia che nonostante non siano ancora partiti i lavori degli “interventi maggiormente complessi e impattanti” il costo dell’intervento è già aumentato di altri 200 milioni di euro. Aver portato in cantiere Monna Lisa, la grande fresa che dovrà scavare il tunnel, senza usarla, è già costato oltre 5 milioni di euro. Letteralmente buttati via [6]. Anche per questo motivo la Procura di Firenze ha voluto vedere quali fossero i motivi di tale uso di denaro pubblico. Si può parlare di spreco? E’ più che legittimo farlo pensando alle centinaia di chilometri di linee pendolari toscane a cui vengono tali risorse vengono sottratte nell’indifferenza dei decisori pubblici.

Denari importanti per l’ammodernamento, la messa in sicurezza, l’acquisto di nuovi treni più dignitosi per chi li usa. Uno sperpero anche in relazione ad un sistema della mobilità in cui un’Alta velocità semplice e onesta si integri al meglio con gli altri mezzi pubblici. Pensate solo per un attimo quante cose si potrebbero fare per portare il nostro paese agli elevati standard europei disponendo in maniera intelligente di queste ingenti somme. Il tutto in un contesto in cui addirittura il presidente di Deutsche Bahn ha recentemente annunciato un “rallentamento” del programma di Alta velocità tedesca. La prossima generazione degli Ice – equivalenti ai Tgv francesi e agli Etr 500 italiani – non viaggerà più a 300 chilometri all’ora, ma “solo” a 250 perché costruire nuove linee costerebbe troppo e perché così è possibile abbattere i costi di produzione e di manutenzione dei treni e risparmiare sulla manutenzione delle linee. Sempre il vertice di DB ha ricordato inoltre come la minore velocità riduca i ritardi dovuti alle perturbazioni del traffico e renda più facile il rispetto delle coincidenze soprattutto per chi si sposta quotidianamente per studio e per lavoro. Meno velocità in cambio di maggiore affidabilità e utilità sociale, insomma [7].

Registrato l’ennesimo spread con la Germania le preoccupazioni per la costruzione del grande tunnel riguardano anche l’impatto che esso avrà, insieme alla stazione, con la falda che scorre sotto Firenze e con il conseguente effetto diga che inevitabilmente modificherà l’equilibrio idrogeologico del sottosuolo. Gli effetti sulle costruzioni di superficie come case, uffici, monumenti – il tunnel passa proprio a pochi metri sotto la Fortezza da basso, opera rinascimentale del Sangallo – sono più che prevedibili ma sostanzialmente rimossi dal dibattito pubblico, almeno fino al recente intervento dei Carabinieri. Il Genio Civile ha fatto inoltre sapere che il progetto non rispetta le più recenti norme tecniche antisismiche. Continuando il parallelo con la costruzione dell’Alta velocità in Mugello è necessario ricordare le parole del pubblico ministero nella requisitoria del processo per danni ambientali stimati attorno ai 750 milioni di euro e con cui si chiedevano condanne per oltre 180 anni di reclusione: “Quest’opera è stata approvata con una logica vecchia: si fa quel che si deve fare e poi i costi ricadranno chissà su chi e chissà quando, e chissà per quanto; andiamo avanti comunque. Decisa la compatibilità politica ed economica della tratta Firenze-Bologna, è un dato di fatto che il livello di attenzione ai diritti di ciascun privato e della collettività è stato pari a zero” [8].

Alla fine per gli incredibili guasti prodotti dalla Tav mugellana nessuno risarcirà il danno, nemmeno quello erariale. Nel giugno del 2012 la Corte dei Conti per la Toscana ha assolto “per prescrizione” 23 amministratori e dirigenti regionali, nonché dirigenti del Ministero dell’ambiente, riconosciuti dalla procura contabile di essere i responsabili del danno. Tra loro vari ex membri di giunte della Regione Toscana dal 1990 al 2000, compresi gli ex presidenti Vannino Chiti e Claudio Martini, inseriti nel gennaio scorso nel listino del Partito Democratico nonostante il dibattito sui cosiddetti “impresentabili” e quindi parlamentari della XVII legislatura appena iniziata [9].

I cantieri del nodo fiorentino, la cui durata prevista era di una decina di anni, sono oggi sigillati dalla Procura di Firenze e anche prima del sequestro stentavano comunque a partire in maniera spedita. Monna Lisa avrebbe dovuto scavare oltre 3.200.000 metri cubi di terra mescolata agli additivi chimici necessari per un’escavazione fluida della fresa. Si tratta quindi di rifiuti inquinanti che però il governo Monti ha avuto l’ardire di declassare in materiale buono per il ripristino ambientale dell’ex miniera di Santa Barbara nel comune di Cavriglia (Arezzo), destinata a diventare un Parco. Con il decreto, firmato sul finire del 2012 dall’ex Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, Ferrovie dello Stato, RFI e Nodavia avrebbero risparmiato le risorse necessarie ad un corretto smaltimento del materiale scavato, visto che la natura inquinante dei rifiuti “oleosi” non cambia.

Come nelle altre zone del Paese in cui “l’arroganza dei dominanti” – come viene definita dall’economista Riccardo Petrella – pretende la realizzazione di grandi opere costose, inutili e dannose, abbiamo detto che anche a Firenze la parte più attenta alle dinamiche perverse tra affari e politica ha criticato il progetto di sottoattraversamento. E lo ha fatto in maniera propositiva, come sempre più spesso accade per chi decide di attivarsi per difendere la cosa pubblica al di fuori di sterili rivendicazioni ideologiche.

“Tav sotto Firenze – Impatti, problemi, disastri, affari e l’alternativa possibile” è il volume curato dagli urbanisti e architetti Alberto Ziparo, Maurizio De Zordo e Giorgio Pizziolo e pubblicato nel 2011 da Alinea. Gli autori si interrogano su come sia possibile che, dopo un travaglio durato anni per affinare la progettazione e perfezionare le procedure autorizzative, si arrivi alla canterizzazione di un progetto che presenta il calcolo costi/benefici più svantaggioso in termini economici, sociali e ambientali. Eppure, ci dimostrano, un’alternativa “semplice e ragionevole” esiste, anche se sempre ignorata da Ferrovie e dalle istituzioni. Riadattare con pochi interventi la rete ferroviaria già presente in superficie e “ricollegarla ad un sistema di trasporto locale multimodale, razionale e sostenibile” in modo da trasformare la scelta dell’Alta velocità “in un’opportunità tangibile per chi la utilizza ma anche per tutti coloro che si spostano nell’area fiorentina”. Gli autori vedono un unico ed insormontabile difetto nella loro proposta: il costo di realizzazione: “da 5 a 8 volte inferiore a quello del sottoattraversamento”. Lo studio presentato nel libro è frutto di anni di lavoro volontario di scienziati accademici, esperti, tecnici e ha il merito di ripercorrere la storia, analizzare le contraddizioni di una scelta che rappresenta “il punto più basso della progettazione di grandi opere in Italia” [10].

Lo schema di massima della proposta alternativa implica la ristrutturazione della stazione Statuto in collegamento con Santa Maria Novella che, a partire dal nome evocativo di “Firenze Novella”, apre uno scorcio significativo su un possibile progetto di Parco urbano in grado di rappresentare un valore aggiunto per il piano complessivo. Lo scenario prospettato è modulare e prevede un primo livello che si ferma al passaggio di superficie tout court, con basso impatto ambientale e costi pari a circa un ottavo rispetto al sottoattraversamento. In sostanza si tratterebbe di aggiungere accanto al fascio di binari già esistente, e solo per brevi tratti, i due binari dedicati all’Alta velocità. L’impatto sarebbe infinitamente minore, i cantieri molto più brevi e limitati alle aree ferroviarie, il rumore e l’inquinamento abbattuti. Lo scenario più evoluto è invece fortemente innovativo grazie al “metrotreno” in grado di far evolvere l’attuale anacronistica rete ferroviaria in un vero e proprio sistema integrato metropolitano [11].

E’ necessaria però anche una riflessione sulle incongruenze di un sistema decisionale rovinoso che “sacrifica l’interesse pubblico a quello privato” come dicono gli autori dello studio, e che mette a rischio l’impianto stesso della democrazia figlia della Costituzione del 1948. E’ lo stesso urbanista Maurizio De Zordo che ne ragiona nel recente volume “No Tav d’Italia – Facce e ragioni dei cittadini che difendono il territorio”, un’edizione Intramoenia-Democrazia Km Zero curata da Anna Pizzo e Pierluigi Sullo. “[…] A questo dobbiamo aggiungere lo scarso grado di diffusione e di informazione che accompagna questi progetti. Nessuna discussione pubblica, coinvolgimento dei cittadini, neanche elementare informazione. Evidentemente quando si parla di Grandi Opere, il dato tecnico e la partecipazione dei cittadini sono visti come impedimenti fastidiosi. E’ il tributo al progresso e allo sviluppo, qualsiasi cosa stia dietro queste parole ormai vuote, troppo spesso coincidenti unicamente con gli ingenti interessi ora di Impregilo, ora della Coopsette o della Cmc, ora di altri grandi operatori. Come spesso succede in questi casi – continua De Zordo – l’assoluto trasversalismo del partito delle “grandi opere” o dei grandi affari, e il monolitismo delle amministrazioni locali, ha influito molto sulla nascita e sulla possibilità di espressione di un movimento di opposizione. La lista di cittadinanza al comune di Firenze “perUnaltracittà”, su posizioni di opposizione di sinistra, è sempre stata attiva sul tema; fra i partiti locali solo Prc e Sel hanno preso posizione contro il sottoattraversamento, entrambi sono però in maggioranza in Regione; l’associazione Idra svolge un costante lavoro di documentazione e denuncia, prima dei danni in Mugello, ora dei pericoli del progetto fiorentino, così come il Comitato contro il sottoattraversamento AV di Firenze. Niente però è servito finora a scalfire il fronte compatto dei decisori, locali e nazionali, che indipendentemente dalle collocazioni scoprono in questi casi – come insegna la Valsusa – un preoccupante unanimismo, a fianco dei poteri economici.” 

Ai poteri economici si aggiungono inoltre quelli finanziari. Nel novembre scorso, durante Firenze 10+10, l’incontro internazionale che si è tenuto a dieci anni di distanza dal Forum Sociale Europeo del 2002, l’associazione Re:Common ha presentato un documento dal titolo “Il business delle grandi opere – Come e perché i mercati finanziari investono in grandi infrastrutture”. L’associazione è da tempo impegnata a sottrarre al mercato e alle istituzioni finanziarie private e pubbliche il controllo delle risorse naturali, restituendone l’accesso e la gestione diretta ai cittadini tramite politiche di partecipazione attiva. Nel dossier dedicato alle grandi opere, poche e chiare pagine di cui si consiglia la lettura integrale, si afferma che “Tutto questo è funzionale all’agenda dei mercati finanziari e di attori che non hanno mai smesso di fare profitto nel contesto della crisi e di promuovere riforme strutturali che mettono sempre di più l’economia, la natura e le nostre vite nelle mani dei mercati. Un’agenda che vede proprio nelle infrastrutture un asset funzionale a investimenti speculativi che non hanno nulla a che fare con i bisogni reali di milioni di persone. Asset che grazie a interventi pubblici diventano sicuri anche laddove il mercato tradizionale li avrebbe cassati. Un mercato, quello attuale, paradossalmente sempre meno libero ma dopato dal sostegno degli Stati, funzionale agli interessi dell’alta finanza, e studiato per riversare sulla collettività le (probabili) perdite” [13]

Nella dichiarazione finale del “Forum contro le Grandi Opere Inutili e Imposte” (Goii), che ha visto discutere, sempre all’interno di Firenze 10+10, decine di delegati da tutta Europa si legge come “sia urgente la necessità storica di approfondire i numerosi grandi progetti promossi dalle lobbies finanziarie ed edilizie per aprire finalmente un dibattito pubblico degno di questo nome sul tema delle grandi opere”, definite una vera e propria “moderna forma di predazione a danno dei cittadini e del pianeta, un’illecita sottrazione di risorse pubbliche, economiche, sociali ed ambientali a favore di speculatori finanziari e dei loro sostenitori politici aumentando in tal modo la disuguaglianza economica, la distruzione del territorio e l’ingiustizia sociale”. Il Forum dei comitati chiede inoltre all’Unione Europea di “fermare la privatizzazione e la finanziarizzazione delle infrastrutture” e “un processo trasparente e informato sul merito e sugli impatti dei progetti che coinvolga tutti i cittadini”. I Comitati respingono poi l’affermazione secondo la quale “la crescita economica e le grandi opere siano in grado di risolvere la crisi in atto, la mancanza di lavoro, la stagnazione dell’economia. Al contrario le grandi opere generano livelli crescenti di debito pubblico in forme anche nascoste e incontrollabili – come nel caso del nuovo strumento del project bond europeo e italiano, dove la garanzia pubblica serve a rendere presentabili progetti altrimenti finanziariamente e economicamente insostenibili e a favorire operazioni speculative scaricando il rischio sui cittadini”. Il documento si chiude con l’affermazione dell’importante “ruolo di sorveglianza della democrazia svolta dalle comunità, dai movimenti e dalle associazioni in lotta contro le Grandi Opere Inutili e Imposte” appellandosi infine “ai governi a livello locale, regionale, nazionale e sovranazionale perché cessino di criminalizzare il dissenso delle popolazioni mettendosi invece al loro ascolto verso la realizzazione di una vera forma di democrazia partecipata e di transizione verso un modello economico più giusto e sostenibile” [14].

Oggi il grande progetto fiorentino è su un binario morto, chi doveva costruirlo è indagato e molto probabilmente dovrà affrontare un lungo processo e condanne per reati molto gravi. Ma nessun viaggiatore se ne accorgerà. Ricordate? A Firenze l’Alta velocità passa dal 1986. Da allora, prima i Pendolini, poi i Frecciarossa, infine gli Italo, trasportano milioni di passeggeri e continueranno a farlo indisturbati.


Note

[1] Firenze, la Tav sotto inchiesta, corruzione e traffico di rifiuti, sequestrata la maxi trivella.
[2] Ferrovia Firenze-Roma
[3] Grandi stazioni Firenze Santa Maria Novella.
[4] Osservatorio ambientale Nodo AV di Firenze.
[5] Idra Firenze.
[6] Cantieri fermi, boom dei costi, il tunnel sotterraneo ora rischia.
[7] Addio alta velocità, i treni tedeschi andranno più piano: «Inutile viaggiare a 300 all’ora, costa troppo».
[8] Alta velocità, quanto ci costa il nodo fiorentino.
[9] Tav in Mugello, c’è la beffa. Nessuno pagherà per i danni.
[10] Tav sotto Firenze – Impatti, problemi, disastri, affari e l’alternativa possibile. Alinea 2011.
[11] Nodo fiorentino dell’Alta Velocità: scarica il progetto alternativo.
[12] No Tav d’Italia – Facce e ragioni dei cittadini che difendono il territorio”. Intramoenia – Democrazia Km Zero 2012
[13] “Il business delle grandi opere – Come e perché i mercati finanziari investono in grandi infrastrutture”.
[14] Dichiarazione finale del Forum contro le Grandi Opere Inutili e Imposte.

Bibliografia

  • “Tav sotto Firenze. Impatti, problemi, disastri, affari e l’alternativa possibile”. Alberto Ziparo, Maurizio De Zordo, Giorgio Pizziolo. Edizioni Alinea, 2011
  • “No Tav d’Italia. Facce e ragioni dei cittadini che difendono il territorio”. Anna Pizzo e Pierluigi Sullo. Edizioni Intra Moenia – Democrazia Kilometro Zero, 2012

Sitografia essenziale

 

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