Draghi dileggia i giornalisti. E loro silenziano il dibattito sul futuro della democrazia

Almeno questa volta non è terminata con gli applausi. Già, perché le conferenze stampa di Draghi sono da tempo destinate ad entrare nei manuali di giornalismo per la loro capacità di deviare rispetto ai canoni tradizionali del Quarto potere. Quello che Hollywood ci ha fatto vedere nel suo massimo splendore per come tutela il bene comune e gli interessi dei cittadini e non degli appetiti della politica o dell’economia. Sempre che si stia ragionando di democrazia in uno Stato di diritto.

Nel paese in cui invece vanno alla grande i “giornalisti di complemento” al governo di turno, bene ha fatto il primo ministro a svilire pubblicamente il loro ruolo, imponendo – nella Repubblica della libertà di espressione, art. 21 – ciò di cui è bene parlare e ciò che invece è vietato. “Un’ultima postilla” – ha detto introducendo la conferenza stampa -, “non rispondo ad alcuna domanda che riguarda gli immediati futuri sviluppi, a partire dal Quirinale”.

Nel paese in cui, *salvo meritevoli eccezioni*, i giornalisti azzannano per strada poveracci impauriti, privi di strumenti culturali adeguati per stare nella complessità delle cose, a Draghi tutto è permesso. Inutile dire che nessun giornalista ha avuto il coraggio – ricordate la schiena dritta di Biagi di fronte al potere? – di rompere il desiderio del “migliore”. Quindi nessuna domanda imbarazzante per l’uomo della provvidenza 2.0 sul tema politico dominante per la democrazia italiana, l’elezione del prossimo presidente della Repubblica.

Magari il “nonno riserva delle istituzioni” avrebbe potuto esprimere un parere su una delle potenziali soluzioni quirinalizie: lui sul Colle più alto e a Palazzo Chigi potrà sedere un suo “amministratore delegato”, al di là dei voleri della rappresentanza popolare parlamentare (mai così screditata, ad onor del vero).

Una delle cose che molti giornalisti sanno bene è che è sempre meglio non infastidire troppo chi ha il potere reale: ne va della carriera, l’editore può infastidirsi se lo metti contro chi governa, ci sono i finanziamenti pubblici e i fondi all’editoria, o magari si viene privati della semplice pubblicità istituzionale o parastatale. E quindi si adeguano. *Alle eccezioni, che ci sono e sono tante, ma marginali rispetto al dibattito mainstream, nella Repubblica che sta per eleggere il Migliore (o il Peggiore, il pregiudicato), può accadere di finire sul banco degli imputati* nelle commissioni parlamentari di vigilanza, solo per aver esercitato fino in fondo quel Quarto potere che agli italiani piace solo al cinema.

Pubblicato su La Città invisibile del 12 gennaio 2022