È il 28 marzo scorso. In un impianto dell’azienda di riciclo Metal Carta di Empoli, un operaio trova il cadavere di un senza dimora che viveva a Firenze. Anni prima aveva ottenuto lo status di rifugiato politico, ma provenendo da una guerra sbagliata, quella somala, nessuno lo ha accolto come il diritto internazionale prevede. Ha cercato riparo in un cassonetto della carta in piazza Elia della Costa, che si è trasformato così nel suo ultimo giaciglio. Si chiamava Mohamed. Aveva appena 20 anni.
Mohamed è morto come Mihai Rusu. Era il 2004 e anche l’uomo rumeno terminò i suoi giorni in un cassonetto, dimenticato da tutti. A nessuna istituzione venne nemmeno in mente di organizzare il suo funerale. Lo organizzò alle Piagge l’associazione Aurora, insieme alla Comunità di Alessandro Santoro, che celebrò la funzione. Prima di Mohamed, dal 1 gennaio 2022 fino a fine marzo, ben 76 persone tra coloro che vivono in strada sono morte. Il conto viene tenuto dalla fio.PSD, la federazione delle realtà che si occupano di senza dimora. Da quasi quaranta anni studiano il fenomeno, promuovono politiche virtuose in grado di contrastare l’emarginazione adulta, lottano contro l’esclusione sociale.
Dalle analisi dei decessi degli ultimi due anni, sappiamo che nel 2020 sono morte altre 208 persone e nel 2021 ben 246. Oltre 500 vite perse in nemmeno un triennio, nell’indifferenza dei più. Sono soprattutto uomini (92%), pochissime le donne (7%), solo una persona transgender. 49 anni è la loro età media. In strada si muore giovani, se si restringe l’analisi ai decessi degli stranieri, 8 su 10 hanno meno di 30 anni, ennesima prova del fallimento del sistema di accoglienza. Nel 44% dei casi si muore per “incidenti”, come Mohamed; per motivi di salute (39%); seguono casi di morte per violenza subita (12%) e i suicidi (5%). La ricerca abbatte anche lo stereotipo “è normale morire di freddo se vivi in strada”, perché di povertà estrema si muore tutto l’anno. Analizzando i dati dell’ultimo anno le 246 vittime hanno trovato la morte tra gennaio e marzo (nel 29.9% dei casi), tra ottobre e dicembre (27.9%), tra aprile e giugno (21.3%) e tra luglio e settembre (20.9%).
La Toscana si posiziona come quinta regione in cui si muore di più, nonostante per popolazione sia nona. A questo link è possibile scaricare la ricerca completa. La salute delle persone senza dimora è quindi uno degli aspetti più importanti su cui da anni le organizzazioni come fio.PSD provano a lavorare. Eppure l’accesso ai servizi di cura o l’avvio di percorsi di prevenzione sono ad oggi difficilissimi da realizzare. In alcuni casi, inoltre, le precarie condizioni di vita compromettono decisamente anche le più semplici azioni di cura (avere o andare da un medico di base), avere una documentazione sanitaria aggiornata, assumere medicinali o seguire una terapia. E così la salute lentamente peggiora, diventando così la seconda causa dei decessi.
Per invertire questa tendenza resta centrale disporre di una casa in cui vivere. Ciò significa avere una base sicura per poter vivere e partecipare attivamente alla vita sociale di una comunità. Non averla compromette buona parte dei diritti di cittadinanza a partire dalla residenza e l’accesso ai servizi collettivi. Le storie delle centinaia di persone uccise a causa della loro condizione, raccontano un disagio complesso e dalle mille sfaccettature, in cui la mancanza di quattro mura in cui vivere, è parte di un processo di impoverimento fatto di isolamento relazionale, precarietà economica, malattie e difficoltà ad integrarsi.