In Europa, dopo lo sconvolgimento della Seconda Guerra Mondiale, grazie alle forze che avevano combattuto i totalitarismi, si impose il concetto di un’organizzazione che potesse fungere da collante fra i vari stati, cercando di annullare l’antagonismo secolare che aveva provocato milioni di morti fra gli abitanti del continente.
Il primo tentativo di unione avvenne nel lontano 1951, quando a soli sei anni dalla fine del conflitto mondiale, l’alleanza fra paesi vincitori e sconfitti (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi), portò alla costituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), a cui seguì nel 1957 la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica (Euratom).
Col passare del tempo i paesi europei capirono che la loro unione, soprattutto in alcuni settori fondamentali come nella politica economica, in quella estera, nella sicurezza, poteva produrre dei vantaggi concreti.
Arriviamo così al trattato di Maastricht del 1992. Questo trattato, di cui sentiamo spesso parlare, ha degli obiettivi molto ambiziosi: una moneta unica, l’Euro, che elimini tutti i problemi legati al cambio fra i vari paesi entro il 1999; la cittadinanza europea; una politica comune per gli esteri e per la sicurezza.
Naturalmente ci sono non pochi problemi sulla strada della completa integrazione fra i vari stati. I maggiori sono di ordine economico, tenuto conto che per arrivare ad una moneta unica le varie economie “locali” devono seguire lo stesso passo e allinearsi su valori comuni, su alcuni indicatori come il tasso d’inflazione, il livello di disoccupazione, è la crescita percentuale dei vari prodotti interni lordi e così via. Inoltre ci sono problemi di ordine storico-culturale, come ad esempio la naturale ritrosia di paesi come la Gran Bretagna nell’allinearsi alle decisioni comunitarie.
Gli ultimi quattro decenni hanno fortemente segnato la storia del nostro continente, la mentalità dei suoi abitanti, gli equilibri di potere. Oggi i singoli governi dei 15 stati membri sanno benissimo che l’era delle sovranità nazionali assolute è superata e che l’interesse di ogni singola nazione risiede nell’interesse di tutte le altre.
Si apre inoltre un’altra grande sfida, l’integrazione nell’Unione di tutti quei paesi orientali resi liberi dalla caduta del Muro di Berlino. Essi guardano con molto interesse alla nostra esperienza di pace, benessere e stabilità democratica costruita con fatica, e chiedono di poter entrare a far parte dell’Unione Europea. Tutto ciò conferma la positiva intuizione che nel corso del secolo alcuni pensatori come Altiero Spinelli e Jean Monnet ebbero, nel pensare un’Europa federata per una convivenza più civile e organizzata.
Attenzione però a non credere in una supremazia europea cieca ed interessata. Prendiamo ad esempio le decisioni che sono state prese nel recente vertice del Consiglio Europeo, tenutosi a Firenze, riguardo la questione della mucca pazza. Per ragioni economiche, parte della produzione inglese di carne bovina ritenuta a rischio sarà abbattuta, mentre un’altra parte della stessa carne sarà esportata verso paesi non appartenenti all’Unione. Questo per tutelare sia la salute che il portafoglio degli europei. Il resto del mondo (per grossa parte il Terzo Mondo) non ha diritto a consumare cibi sani? Riflettiamoci sopra per favore. Perseguire ideali di pace, solidarietà e di unione fra le nazioni europee è giusto e sacrosanto. Che non si calpestino però i diritti di popoli che possono solo subire le scelte dei cosiddetti paesi avanzati.
Cristiano Lucchi
Pubblicato sul Numero 6 de l’Altracittà giornale della periferia, estate 1996