Nuova Moschea, a colloquio con Izzedin Elzir, Imam di Firenze e presidente delle Comunità islamiche italiane (Ucoii)

Santa Maria Assunta, la prima chiesa cattolica nell’emirato di Dubai, venne costruita nel 1966 su un terreno donato dallo sceicco Rashid bin Saeed Al Maktoum. A frequentarla, oggi, sono oltre 100.000 fedeli che partecipano alle messe celebrate in più lingue. Accanto alla chiesa c’è la casa parrocchiale, un grande auditorium e due scuole: la St. Mary (2.000 iscritti) e la Al Rashid Al Saleh School (1.500 iscritti), gestita dalle suore Figlie di Maria Immacolata e dove ai cristiani si insegna la Bibbia e ai musulmani il Corano.

È per questo che venerdì 22 luglio un gruppo di giovani universitari musulmani, provenienti proprio dagli Emirati Arabi Uniti, è rimasto di stucco quando ha messo piede all’interno della moschea fiorentina di Borgo Allegri. Un grande garage e niente altro. Tetti bassi, l’aria che non ha spazi per il ricambio, grandi vani più simili ad un vecchio magazzino che a un luogo di culto. Ad accoglierli, lungo la strada e sul marciapiede, decine di persone che il venerdì arrivano da tutta la provincia per pregare Allah, costrette a due turni per l’insufficienza dell’unico spazio dedicato all’Islam presente oggi a Firenze: cinquecento persone tra le 12.30 e le 13.00 e altre cinquecento tra le 13.30 e le 14.00. Tutti i santi venerdì da quando la moschea ha aperto.

Firenze fino ad oggi non è stata molto accogliente con i bisogni spirituali della Comunità musulmana presente in città, stimata intorno alle 30.000 persone. Tanti marocchini, circa il 30%, un altro 40% suddiviso tra tunisini, algerini ed egiziani e il resto composto da senegalesi, giordani, pakistani, palestinesi, italiani e da persone provenienti da una trentina di altri stati.

Izzedin Elzir, l’Imam di Firenze, ci riceve in una giornata assolata di agosto ed ha ancora nelle orecchie le parole piene di sdegno dei giovani di Dubai verso un’Italia incapace di offrire loro uno spazio dignitoso per la preghiera. “Non credevano ai loro occhi” – ci racconta. “Erano giunti in una delle città simbolo di democrazia e civiltà nel mondo, in uno Stato che garantisce la più ampia libertà di culto (con l’articolo 19 della Costituzione, ndr) e si sono ritrovati a pregare in un moschea improvvisata, in un magazzino certo non bello da vivere oltreché da vedere. Ho così risposto loro che la nostra è una Comunità dialogante con la città, ma che fino ad oggi è mancato il coraggio necessario sia alla politica che alle altre religioni e al mondo della cultura, ma che stiamo lavorando per appianare ogni difficoltà e che presto sarà individuata una soluzione rispettosa dei principi di libertà e democrazia.”

Il problema vero – ho spiegato loro – è che la Costituzione prevede la libertà di culto ma che nell’ordinamento italiano non c’è nessuna legge in grado di far applicare la volontà espressa dai costituenti. Tutto dipende allora dalla disponibilità o meno delle amministrazioni locali. A Firenze il sindaco Matteo Renzi, con cui abbiamo ottimi rapporti, è per garantire la libertà di culto, come anche tutte le forze politiche democratiche. Vedremo nei prossimi mesi cosa accadrà”. Come dargli torto. E in effetti da un anno anche a Firenze si parla di costruire una nuova moschea, dignitosa e capace di offrire ai tanti musulmani presenti in città un luogo dove esprimere la propria spiritualità. Ad innescare il dibattito è stato il progetto dell’architetto David Napolitano commissionato dalla stesso Comunità e presentato nel settembre del 2010 al sindaco e alla città.

In realtà quel progetto piacque poco, sia perché ricordava troppo la chiesa di Santa Maria Novella, sia perché ai fiorentini sembrò quasi uno scimmiottamento delle basiliche toscane. E’ non piacque nemmeno a molti musulmani. “Uno schizzo” lo definì allora l’Imam. “Perché – dice oggi – da qualche cosa il ragionamento doveva comunque partire ed eravamo consapevoli che non è possibile progettare una qualsiasi opera se non si sa dove sarà materialmente costruita. Per la sua disponibilità e per la sua generosità ringrazierò comunque sempre l’architetto Napolitano, che ci ha offerto un’opportunità importante. L’interesse della Comunità islamica è ora quello di produrre una moschea di alta qualità architettonica, integrata nel contesto in cui sarà collocata”.

E così è andata. Accantonato il progetto iniziale è decollato il dibattito pubblico in città. Un dibattito civile che fino ad oggi non ha vissuto gli eccessi di cui spesso sono ricche le cronache nazionali a causa della netta contrapposizione ideologica portata avanti dai partiti della destra xenofoba e razzista. “Abbiamo il desiderio di coinvolgere tutta la città in un processo che dovrà definire i tempi e i modi con cui la nuova moschea di Firenze sarà progettata e costruita” – continua Izzedin Elzir. “Oggi il dibattito non è se costruirla o meno, ma come costruirla. La nostra è infatti una questione materiale, non teologica. Del resto la moschea esiste già, e senza problemi si è integrata nel tessuto del centro storico. Si tratta di fare un altro passo avanti per renderla più bella e accogliente, all’altezza dell’identità storica e culturale della città. Un patrimonio per Firenze di cui ogni fiorentino possa andare orgoglioso nel mondo.” E’ così partito il processo partecipativo, grazie alla legge regionale dedicata di cui parliamo in un altro articolo. “Lo scopo è quello di creare un consenso diffuso intorno alla moschea.

Firenze è urbanisticamente satura, basti tornare al dibattito sul numero scorso di Opere su volumi zero e dintorni. Chiediamo pertanto all’Imam di immaginarsi per un attimo dove potrebbe essere collocata la nuova moschea. “Oggi abbiamo suddiviso la preghiera del venerdì in due turni, per non bloccare la strada e per rispetto nei confronti dei nostri vicini. Abbiamo bisogno pertanto di un luogo in grado di ospitare senza troppa pressione un migliaio di persone. Inoltre non dovrà essere in un luogo dell’estrema periferia per due motivi. Perché dovrà essere raggiungibile con facilità da tutti e perché non vogliamo rischiare di costruire una specie di ghetto, fuori da ogni contatto con la realtà fiorentina. Quello che vorremmo dovrà rappresentare un modello di apertura religiosa, dove tutti possano essere ospitati. Ben vengano altre idee progettuali, figlie di un incontro virtuoso tra i bisogni della Comunità islamica e della città. Sarebbe davvero interessante, ad esempio, istituire un concorso aperto ai migliori architetti del mondo, che potrebbero trovare il modo di recuperare con il loro progetto un pezzo di città oggi abbandonata: un edificio dismesso, una vecchia area industriale da restituire al tessuto cittadino. Nessun problema per noi nell’intraprendere questa strada, che avrà il vantaggio di restituire dignità alla nostra preghiera ma anche a una parte in declino della città.”

Izzedin Elzir non vuole cambiare i connotati a Firenze e ci tiene a farlo sapere: “Firenze è una delle città più belle del mondo e noi ci sentiamo orgogliosi di questa bellezza, la sentiamo nostra e pertanto niente sarà fatto per incrinare questa realtà. Come fiorentini che qui vivono e lavorano ci sentiamo di offrire la massima collaborazione per una soluzione che soddisfi tutti, che non provochi dannose e inutili fratture culturali, architettoniche, politiche. Il senso del percorso partecipativo è proprio questo. Unire tante persone, tanti cervelli, per individuare il miglior modo per dotare Firenze di una moschea.”

I soldi non sono un problema” –    continua l’Imam. “La costruzione sarà completamente autofinanziata dalla Comunità in piena trasparenza. Siamo tanti e da tanto tempo radicati a Firenze. Se mancheranno delle risorse ci appelleremo a coloro che hanno più disponibilità economica. Ma non un soldo dovrà arrivare dalle casse pubbliche, di questo sono certo.”

Libertà, democrazia, partecipazione. Il discorso non poteva che concludersi con una riflessione sui recenti avvenimenti che hanno sconvolto il bacino mediterraneo, le Rivoluzioni arabe che, tra alti e bassi, vedono le nuove generazioni rivendicare quegli stessi diritti introdotti nella cultura politica occidentale dalla Rivoluzione francese. Izzedin Elzir è infatti anche presidente delle Comunità islamiche italiane, l’Ucoii: “E’ importante sottolineare che le rivoluzioni arabe non sono state condotte per fame, ma per un desiderio fortissimo di partecipazione diretta alla cosa pubblica. E’ stata una bellissima risposta a chi diceva che il mondo islamico fosse impermeabile e addirittura incompatibile con la libertà e la democrazia. In Italia, e anche a Firenze, guardiamo a questa fase con favore, perché si tratta di una rivoluzione pacifica, un aspetto fondamentale per far crescere popoli che fino ad oggi sono stati sotto una dittatura e che mitiga l’immagine di un mondo musulmano violento. L’atto col quale inizia la rivoluzione tunisina – conclude l’Imam – è il suicidio di Mohamed Bouazizi. Un atto forte, divenuto simbolo di una lotta non individualista ma in favore dei diritti di tutti. Un’azione compiuta per donare vita agli altri e non per toglierla. E’ anche per questo che oggi i musulmani che arrivano in un paese come l’Italia si aspettano di più, si aspettano che libertà e democrazia siano ormai affermate e consolidate“.

di Cristiano Lucchi, pubblicato su OPERE n. 28/2012 – Rivista Toscana di Architettura