I numeri del bene comune

Vi propongo un breve pezzo introduttivo sull’open data journalism che sarà pubblicato sul prossimo numero di GT, il giornale dell’Associazione Stampa Toscana.

L’Open data journalism è una delle tendenze più innovative della nostra professione: rafforza la capacità di fare inchiesta e di esercitare quel controllo doveroso sulla Pubblica amministrazione e su ciò che ne discende, come Asl, s.p.a. ed ex-municipalizzate. Il giornalismo dei dati aperti nasce grazie alla disponibilità degli open data, o dati aperti, distribuiti da quei governi che ispirano la loro azione a modelli, strumenti e tecnologie che consentono una maggiore “apertura” nei confronti dei cittadini al fine estendere la democrazia garantendo un controllo più efficace sull’operato del settore pubblico.

Dopo l’acqua, la sanità, la scuola anche i numeri diventano così beni comuni, ben oltre e ben più in profondità di quanto previsto dalla legge 241/90 sull’accesso agli atti. Basti pensare ai tanti database e archivi – oggi blindati o di difficile consultazione – per capire le grandi potenzialità dell’Open data journalism. Pensate ad esempio di avere a disposizione in tempo reale il numero dei ricoveri per patologia di un dato territorio, oppure i valori di salubrità delle acque o dell’aria aggiornati all’ultima rilevazione, magari georeferenziati. O di disporre con un paio di click di tutte le voci contenute nel bilancio di un Comune, di una Regione o dello Stato. Dati liberamente accessibili a tutti, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione. Senza passare da uffici stampa, che talvolta fungono da guardiani del fortino, o doversi ricopiare da complessi documenti cartacei i dati più interessanti. Un vantaggio degli open data è infatti quello di essere a disposizione in formati informatici aperti, come ad esempio l’xml.

Per fare Open data journalism sono necessarie nuove competenze: dalle tecniche di visualizzazione alla statistica, dalle procedure per l’acquisizione di database alla loro corretta lettura e trattamento. Cresce così anche culturalmente la professionalità del giornalista, in un contesto informativo in grande espansione. Date un’occhiata, ad esempio, ai data store del Guardian (www.guardian.co.uk/data) o del New York Times (http://data.nytimes.com) o al sito del governo italiano (www.dati.gov.it). Se la cosa vi ispira scriveteci. Da qualche settimana è infatti attivo un gruppo dedicato al giornalismo dei dati.

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